venerdì 17 giugno 2011

La sinistra “barzotta” e il risveglio dell’uomo qualunque

Questo periodo costituisce un pasto succulento per i giornalisti, per gli analisti, per i sociologi, per i politologi.

C’è così tanto materiale da osservare e interpretare da intasare i palinsesti dei prossimi 12 mesi. Era da tanto che non assistevo a un simile profluvio di fenomeni mediatici: una vera abbuffata comunicativa che viaggia sull’esile linea che unisce la politica al costume. Il definitivo tracollo psichico di Berlusconi (già testimoniatoci nei mesi precedenti dalla sberluccicante serie di tic/barzellette/rotture diplomatiche del Premier); il detournement dei rapporti di forza precedenti, cristallizzato nell’onda (più o meno) rossa delle amministrative (prima) e nella vittoria del SI al referendum (dopo); gli svarioni dei colonnelli del centrodestra, in preda a una vera e propria sindrome del si-salvi-chi-può; i “dico e non dico” di Napolitano; il de profundis fatto dai cosiddetti intellettuali di destra (Ferrara e Feltri, in testa) nei confronti del Cavaliere; infine il pasticciaccio mediatico di una serie di Ministri, vittime di qualcosa di molto simile al Ballo di San Vito (pensate alle dichiarazioni decerebrate fatte recentemente da Maroni e da Brunetta).

Un vero lunapark per le testate giornalistiche! Una vera casa di marzapane da leccare fino allo spasimo intestinale per tutti coloro i quali, per lavoro, tentano di decodificare l’attualità.

Il filo rosso della stampa italiana porta a interpretare questo periodo come una forma di “apocalisse culturale”, di caduta della “seconda Repubblica”, di fine del sogno berlusconiano. Il PD, l’IDV, le altre forze di opposizione e il terzo polo tentano di appaltare questo momento glorioso come una rivincita della sinistra, o quanto meno come un rigetto fisiologico del governo del “ghe pensi mi” dal corpus dello Stato.

Bersani, improvvisamente rimbarzottito, si presenta ai talk show luminescente, olimpionico, come il vettore del cambiamento; Di Pietro pare quasi aver imparato la sintassi italiana e persino il nostro Vendola, il mio Vendola, sembra essere arrivato a quella che la teologia definisce “transustanziazione”, rilasciando dichiarazioni epiche in cui si sente spesso il profumo di viole, come durante le apparizioni di Padre Pio. La Sinistra è rinata ma la sua rinascita non viene dalla politica dei partiti e dei quadri di partito.

Come quando il problema non era Berlusconi ma l’antropologia berlusconiana di ogni italiano, ora la vittoria non è dei Partiti ma della gente che ha deciso di non far languire più, neghittosamente, il proprio voto in tasca. La vittoria, anche in questo caso è antropologica, non politica.

Detto altrimenti, la sinistra ha il sacrosanto diritto e dovere di cavalcare al meglio quest’onda di cambiamento e di dimostrare cosa si sarebbe potuto fare e non si è fatto. Stavolta, credo, sarà difficile non vincere le politiche. Sarebbe un suicidio.

Ma, vincendo, non ci sono più scuse: occorrerà davvero stabilire una scala di priorità per non tornare a essere dalemiani. Primo: legge sul conflitto d’interesse. Secondo: bonifica della precarietà nel lavoro. Terzo: riforma della scuola e inversione dei tagli all’università e ai comparti della cultura. Quarto: welfare. Quinto: giustizia. Poi, di seguito, tutte le altre priorità. Magari non in quest’ordine, ma le cose vanno aggiustate! (E soprattutto non farsi autogoal alle prossime elezioni: quello che proprio non digeriremmo è un Berlusconi Capo dello Stato…e non è una prospettiva così venusiana..)

Insomma, il fatto che questo cambiamento sia venuto dalla Rete è indice di un elemento a mio parere molto importante: il vero grimaldello del cambiamento non è tanto il passaggio della barra da destra a sinistra, quanto il risveglio delle frange qualunquiste della popolazione. L’uomo qualunque viene preso a sberle dall’immensa auto-convocazione mediatica dei social network. L’associazionismo porta più voti dei Partiti.

I Partiti ora imparino dagli errori commessi in passato e mostrino i muscoli che negli anni Novanta parevano rattrappiti e anchilosati.

È già la seconda dittatura che ci sorbiamo…non basta?



venerdì 3 giugno 2011

Contro il nucleare. Di nuovo!

Come si potrebbe definire in termini clinici: “coazione a ripetere”? O “sindrome ossessivo-compulsiva”?

Fatto sta che l’Italia è l’unico Paese dove la volontà popolare, per avere valore, dev’essere ridondante, deve ribadire, riaffermare, replicare continuamente!

Stiamo per andare a votare tutti per il SI – voglio augurarmi – ai quattro referendum abrogativi del 12 e 13 giugno, ma la cosa incomprensibile è che gli italiani avevano già espresso il loro dissenso all’atomo.

L' 8 e 9 novembre 1987 si votò in Italia per cinque quesiti referendari: due sulla giustizia e tre sul nucleare. Il testo di questi ultimi era il seguente:

  1. Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti? 
(la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante "la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento", previste dal 13° comma dell'articolo unico legge 10/1/1983 n.8)

  2. Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone? 
(la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante "l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi", previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge)

  3. Volete che venga abrogata la norma che consente all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero? 
(questa norma è contenuta in una legge molto più vecchia, e precisamente la N.856 del 1973, che modificava l’articolo 1 della legge istitutiva dell’ENEL).

In tutti i casi vinse il SI all’abrogazione con l’80% circa dei voti. Dunque con il referendum abrogativo del 1987 è stato "di fatto" sancito l'abbandono, da parte dell'Italia, del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico.

Ora, col decreto legislativo n.31 del 15 febbraio 2010, di fatto il Governo riapre la strada alle centrali nucleari. La cosa più grave, tuttavia, è che non raggiungendo il fatidico quorum del 50% la consultazione verrebbe invalidata e tra una decina d’anni potremmo ammirare le rigorose linee architettoniche di una centrale nucleare proprio sotto casa.

Ecco il nuovo e definitivo quesito che troveremo sulle schede: "Volete che siano abrogati i commi 1 e 8 dell'articolo 5 del d.l. 31/03/2011 n. 34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75?"

Ora: non che i tre rimanenti referendum (uno sul legittimo impedimento e due sulla privatizzazione dell’acqua) siano meno importanti, ma la storia ci insegna che al transitare dei governi molte cose cambiano. Quello che è meno reversibile, come processo industriale, è invece l’inizio dei lavori per la costruzione di centrali nucleari.

Il 12 e 13 giugno, gli Italiani hanno dunque la possibilità di confermare la voglia di rinnovamento che sta emergendo, forte, nelle ultime settimane e di assicurare il quorum a un fondamentale punto di snodo per il nostro futuro prossimo.

Domenica 12 farà sicuramente già molto caldo, ma per una volta, mettiamo in secondo piano lu sule e lu mare, e dimostriamo di essere responsabili! Potrebbe bastare che ognuno di noi porti due persone a votare.