lunedì 11 luglio 2011

La grande musica in Puglia passa fuori dal mainstream. L’avanguardia immortale dei Tuxedomoon.

Quest’anno il tormentone estivo è quello della Puglia musicale, la Puglia alternativa, Lecce culla della musica, Italia wave, ecc ecc.
Ma molto spesso, lontano dal mainstream dei grandi eventi e dei festival da milioni di euro, la migliore musica, quella che non flirta con le radio e con le produzioni modaiole, passa da posti non consegnati agli onori delle recensioni e da nicchie preziose, dove la musica di grandissima qualità viene conservata e impreziosita.

E allora capita di assistere nella piazzetta del celeberrimo Angelé di Manduria a un concerto, bellissimo, di Hugo Race, storico chitarrista di Nick Cave and the Bad Seeds, di divertirsi col pop scanzonato degli Stereo Total, al Sudest Studio tra le campagne di Campi Salentina. Ma soprattutto di godere di un concerto dei Tuxedomoon, in una piazza che ospita al massimo duecento persone!

Sebbene l’evento non abbia goduto di una pubblicità diffusa, venerdì sera la storica band californiana di Steven Brown e Blaine Reininger ha suonato ad Alberobello per il lungo tour mondiale di lancio del nuovo disco antologico, Unearthed. Un autentico “regalo” al sud e alla Puglia, che peraltro ha già visto approdare i Tuxedomoon dalle sue parti negli anni Ottanta (due concerti al teatro Petruzzelli di Bari che sono rimasti nella storia) e per tutti i Novanta, sebbene rapsodicamente.

È difficile – lo dico subito – raccontare questo evento in maniera cronachistica per uno che a diciassette anni ha comprato su segnalazione di amici il vinile di Half mute (LP d’esordio del 1980), primo long playing e disco manifesto della band di San Francisco, e dopo averlo ascoltato convulsamente in una specie di stato alterato di coscienza, ha in qualche modo cambiato la propria concezione della musica.

Tutti abbiamo un disco e un gruppo che hanno lasciato un segno emozionale nella storia dei nostri ascolti e i Tuxedomoon sono il mio, così quando ho appreso del concerto ad Alberobello, mi sono sfregato gli occhi e ho avuto una incontenibile esplosione di entusiasmo adolescenziale, lo stesso provato quando li ho rivisti nel 2004, al bellissimo concerto del Palamazzola di Taranto!

Arriviamo in Piazza del Trullo Sovrano con un’ora di anticipo, manco a dirlo. La cosa strana è che non siamo i soli e col passare dei minuti una piccola folla gentile stringe gli spazi di fronte all’entrata principale del botteghino. C’è gente di tutte le età e il target è veramente difficile da decifrare a primo impatto. Penso che il migliore Tondelli delle cronache urbane di Un weekend postmoderno, si sarebbe divertito ad analizzare quel popò di fauna notturna nei suoi moleskine…Ci sono pochissimi ventenni, alcuni dei quali acconciati come dark del ’85 (!), molti ultra-trentenni che, come me, hanno conosciuto i Tuxedomoon sull’onda lunga di una eco che tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta già si era consolidata attorno alla cult band; moltissimi ultra-quarantenni, credo la maggioranza, in febbricitante attesa e con addosso le vestigia di un passato da new wavers; parecchi ultra-cinquantenni ultracool, tipo abito Vivienne Westwood-codino-orecchino-gauloise.

Negli ultimi dieci anni ne ho visti di concerti, progressivamente sempre più distante dall’impeto dei miei vent’anni, ma ai live di Brown, Raininger e compagni mi sento sempre emozionato come un bambino, cosa che non mi succedeva da tempo. Neanche il tempo di sederci, a pochi metri dal palco, e uno scrosciante applauso saluta l’ingresso dei Tuxedomoon. Il primo a entrare è Peter Principle, col suo basso Gibson Diavoletto, poi Gus Van Lieshout, il trombettista e polistrumentista unitosi alla band a fine anni Ottanta e nientemeno che Bruce Geduldig, il videoperformer storico della band, ritornato a suonare coi suoi amici di sempre dopo anni di allontanamento; e infine, applauditissimi, i fondatori Blaine Reininger col suo inconfondibile violino e le sue chitarre minimali e Steven Brown, col suo sax e le tastiere di sempre. Il pathos, tra i trulli, è incontenibile e il primo pezzo, lo storico The Waltz, accende gli animi, tra le luci basse ed essenziali e le note cadenzate e toccanti…a stento trattengo l’emozione!

La scaletta, grosso modo, è composta nella prima parte dai pezzi degli ultimi due album e nella seconda dai pezzi storici della band californiana, da Joeboy a Litebulb Overkill, da Tritone a Everything you want, con una serie infinita di bis richiesti dal pubblico in piedi ad applaudire per oltre cinque minuti.

La qualità della musica suonata dal vivo è davvero incredibile e c’è un’aria poetica e distesa, come si conviene a cinque amici che suonano insieme da più di trent’anni e che hanno sempre deciso di fregarsene del mercato discografico per dare spazio e respiro a progetti musicali unicamente volti al loro personalissimo e raffinato gusto artistico.

Per inciso, visto che il nome dei Tuxedomoon è stato sempre legato a un pubblico di nicchia, due parole sulla storia del gruppo; la band nasce a San Francisco nel 1977 quando la transizione dal rock al punk è passata da una fase di sperimentazione, successivamente denominata new wave, che cresceva dagli Usa attraverso i nomi dei Talking Heads, dei Television, di Patty Smith, dei Devo, dei Cabaret Voltaire; i Tuxedomoon codificarono tutta l’alienazione postmoderna di quelle forme espressive in una nuova forma che univa lo stesso grido urbano ad arabeschi musicali meno duri e a tratti barocchi, con l’innesto di spunti teatrali brechtiani e della prima visual art e con una ibridazione musicale che mescolava l’approccio punk ai primi sinth elettronici e una sorta di free jazz ai violini sublimi di Reininger…insomma il punk si ingentiliva di letteratura e simbologie colte per assumere i tratti di una musica da camera, sebbene altrettanto nichilista.

Album come Half Mute, Desire, Holy Wars, hanno segnato la storia della musica d’avanguardia e il concerto di Alberobello esprime tutta la loro voglia di continuare un presente musicale in continuo sviluppo, sempre con lo stesso stile raffinato, da espressionisti dei sensi.

Un grandissimo spettacolo, lontano dagli accenti spettacolari. Segno che, come al solito, le cose migliori non passano dalla ribalta del tritacarne mediatico e che la provincia, zitta zitta, fa le scarpe ai grandi eventi cittadini.